Il talento che ho ritrovato Oltre la Porta del Tempo e dello Spazio

DAL NEPAL CON LE MIE CIOTOLE

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“Cerca di diventare non un uomo di successo ma piuttosto un uomo di valore”
                                                                                                         Albert Einstein

Ho un vestito lungo addosso, attorno a me vedo l’erba verde e delle montagne. Sono un uomo e vivo in Nepal. Al mattino prego. Poi raccolgo delle erbe, ho una borsa di pelle a tracolla e le metto lì.  Le annuso le erbe, ho la pelle ruvida sulle mani ma non sono sporche di terra. Incontro una donna, lei non mi guarda, ma si inchina, le prendo le mani, le tocco il cuore e lei va via. Continuo a salire più su, in montagna, scavo le radici, mi siedo. E’ il mio lavoro a raccogliere le erbe. Mi conoscono. Vedo delle capre, una viene da me e io la accarezzo, le tocco la barba. Mi alzo e scendo velocemente. Vedo il villaggio a forma rotonda con delle capanne, c’è il fuoco acceso e sento il profumo del fuoco. Entro in una capanna, vedo le ciotole di ferro, le lavo e schiaccio le erbe. C’è un odore strano misto di erbe, latte e terra. Faccio un impasto con del burro e formo delle palline. Arriva un uomo e si inginocchia, gli prendo le mani, lui sta male. Per terra c’è una pelle di capra e lui ci si sdraia sopra. Io grido – mi viene dalla pancia, lui rimane tranquillo e disteso e poi soffio il vento e muovo le mani, è bellissimo e prendo le ciotole e le batto con un mortaio molto forte, ho una sensazione bellissima, provo amore, faccio degli strani versi con la bocca, un sibilo. C’è un silenzio sacro ora. Respiro e creo un alone di luce che avvolge me e lui e rimaniamo così per un po’. L’uomo si alza, ci prendiamo le mani, mi fa vedere la sacca piena di latte, questo è il mio prezzo, ho bisogno del latte di capra. E’ arrivata una donna, le tendo la mano sinistra e lei entra nella capanna. Ha gli occhi malati. C’è poca acqua in questo posto, le pulisco gli occhi con il latte, le sfioro i capelli e la fronte. Ha i capelli scuri, passo le mani su tutta la sua testa. La sto guarendo, lo faccio ancora per un po’, poi la faccio distendere e le appoggio le dita a lato della fronte e canto di gola. Lei ora sta bene, è rilassata e io sono felice. Lei si alza e mi dà delle cose – pane e legumi da mangiare e io sono contento. Ci salutiamo. Rimango da solo e mi sento solo. Sento l’amore forte quando capita quella cosa in quello spazio in cui mio cuore impazzisce. Invece ora sento solitudine. Le persone mi amano ma io mi sento solo.
E’ passato del tempo e io ho la barba bianca e lunga, c’è un cane con me, continuo a curare le persone. C’è molta luce in questa casa dove sto, per terra un tappeto. C’è una donna, siamo seduti a terra. E’ tornata la vita e io mi sento bene, provo amore, non abbiamo figli, faccio fatica a muovermi, le mie ciotole sono lucide, non raccolgo più le erbe. Suono le mie ciotole. Non potrei fare altro. Sono curvo. Adesso vado via, so che devo andare. Lei mi saluta. Cuore su cuore. Torno su, in montagna piano piano. Ho un bastone. Vado sulle mie montagne, vado a morire. E’ il posto più bello per morire. Guardo di nuovo il cielo. Tutto è come sempre. Guardo le aquile che volano. Mi sdraio, sento l’odore della terra, sto lasciando il corpo. Lo vedo questo corpo, c’è tanto silenzio. All’improvviso mi sento confuso, non so dove sono. Ho paura, non vedo niente. Adesso vedo un tunnel. Finalmente vedo un’uscita. Vado lì. Verso la luce. Sono più leggero. Ora mi sento bene. Mi sto rilassando. Non c’è più niente eppure c’è la mia coscienza. Dio mio fai qualcosa di me! Mi fa male il cuore. Questa coscienza mi ricorda il dolore, le botte che ho preso.

NIENTE MUORE!

Sono cresciuto da solo, conosco bene la terra. Ricevevo solo botte. Ho vissuto in mezzo agli animali, la terra è stata la mia amica. E poi le capre ed il Sole e le Montagne. Ho imparato tutto lì e così ho guadagnato l’amore ed il rispetto delle persone. Se non avessi provato tanto amore per la terra non sarei stato capace a curare le persone. Avevo odiato le persone tanto, tantissimo! Ecco perché tanto dolore nel mio cuore. Ho odiato tanto quando ero bambino. Ho gridato, ho graffiato e soffiato e poi ho imparato a usare le cose per curare gli altri. Perché sento questo dolore nel cuore ancora? Cosa ho sbagliato? Come faccio a non odiare? Devo tornare! Devo rinascere! Ho bisogno di dolcezza, leggerezza e di armonia. Ho bisogno di fare pace con gli uomini. Ho bisogno di avere fiducia. Ho bisogno di sapere che non sono solo.

Vedo un essere di luce e gli faccio queste domande:

Dimmi quale è la cosa che devo imparare? Lui mi risponde dicendo: Ama le persone come la terra, come l’acqua, come il vento, come le aquile. Non avere paura delle persone. Non avere paura! Non avere paura …

Dimmi cosa porto con me da questa vita? La guarigione, la comprensione e questo grande amore.

Dimmi cosa posso fare per superare questa prova? Avere fiducia nelle persone, fiducia e anche gioia e allegria, ama le persone come la terra, non come facevi prima, curavi le persone perché volevi essere amato, avevi paura delle persone. Impara a riconoscere le aquile nelle persone. Questo è il tuo compito:

non avere paura delle persone e non avere paura di usare questa forza!

Regressione di Sonia Puccio

Autrice: Dr. Katerina Kratka

IL TERREMOTO IN REGRESSIONE

terremotoRecentemente un devastante terremoto ha colpito duramente tante persone nel centro Italia. Chi ha perso i propri cari, chi ha visto crollare la propria casa, chi è rimasto senza un posto di lavoro, chi è a piedi senza un mezzo di trasporto per non parlare della minaccia notturna o l’ansia di andare a dormire. Molti hanno avuto bisogno di aiuto specialistico a livello psicologico per affrontare il trauma, e la regressione è un valido e concreto mezzo per elaborare un tale trauma. Permette di sciogliere le emozioni, ritrovare l’armonia e poi in un secondo tempo ripristinare la forza di affrontare la realtà. Ho potuto essere di aiuto a diverse persone colpite direttamente.

Ma ora ti voglio informare di un’altra categoria di persone. A questa categoria appartiene anche la persona di cui ti voglio parlare. Questa donna si trovava al momento del terremoto a circa 200 km dall’epicentro perciò le scosse avvertite quella notte erano molto deboli. Non c’è stato nessun danno né a persone né a cose. Nessuno dei suoi cari si trovava nella zona critica quindi non c’è stato nessun motivo di preoccupazione. Eppure la signora in questione ha avuto una reazione molto forte. Un senso di angoscia, di paura e di disperazione l’ha pervasa così intensamente da cercare un aiuto per dare una motivazione alla sua reazione sproporzionata.

In uno stato di trance molto leggera ha rievocato l’evento recente. E poi alla domanda: “Esiste un evento simile precedente a questo?”  la signora ha iniziato ad evocare un evento accaduto circa 400 anni fa e che ora ti descrivo:

UNA VITA DA PECORA

“Chi sulla terra non fa valere la sua parte Divina
non ha, neanche agli Inferi, riposo.”
Holderlin, Invocazione alle Parche

Domanda:
Chi sei?

Risposta:
Sono un uomo vestito con un saio marrone, sono un frate francescano e con altri tre fratelli stiamo ricostruiendo un muro crollato, mentre si cercano persone sotto le macerie, altri sotterrano morti, c’è stato un terremoto.

Mi colpisce un piccolo cane che guaisce ansioso scavando frettoloso sotto le macerie, è evidente che lì sotto c’è qualcuno molto importante per lui e fa di tutto per attirare l’attenzione della gente affinché qualcuno possa aiutarlo nella ricerca. Sono commosso nel vedere questo cane disperato e nello stesso tempo attivo verso la persona che ama. Finalmente tirano fuori un uomo, è davvero ancora vivo anche se respira a malapena, il cane lo accoglie scodinzolando felice, gli lecca tutta la faccia nel tentativo di aiutarlo a riprendere i sensi. Alcune donne si prendono cura di lui, e non solo di lui, ci chiedono le lenzuola pulite, le erbe, l’acqua. Andiamo avanti con la ricostruzione perché serve al più presto un riparo dove ricoverare i feriti e i malati, portiamo aiuto dove serve.

Domanda:
Che altro succede?

Risposta:
Siamo francescani e non siamo ben visti perché curiamo con le erbe, cerchiamo di salvare le vite e molti dicono che andiamo contro la volontà di Dio, che quello che è accaduto è la punizione di Dio perché siamo peccatori e quindi noi saremo puniti in modo più duro. Lo dice il prete di un’altra congrega e parla con parole minacciose. Semina paura. E’ tanta la gente che si unisce a lui e lo segue per la paura che potrebbe succedere qualcos’altro. Il tipo sta incitando la folla alla violenza e la ferocia si sta accendendo come la cenere sotto la brace. Ho voglia di tirargli una sassata per farlo tacere. Mi fa sentire in colpa e impotente perché non trovo il modo per fermarlo. E’ ignorante e stupido e semina terrore, vorrei che un fulmine lo colpisse, che sprofondasse sotto terra. Ma noi continuiamo a costruire i ripari, ci sono altri che portano acqua, candele per fare la luce.

Dico a questa moltitudine di scegliere da che parte stare e se pensano che siamo noi il male allora devono seguire lui e chi non ha paura può rimanere. Parlo tra le righe. Non voglio tirarmi dietro il furore della folla, parlo la stessa lingua di quel cretino e lascio a loro la scelta. Dico loro che è vero che la catastrofe è avvenuta per opera di Dio, ma tutto ciò è accaduto perché ci ha voluto mettere alla prova per verificare la solidarietà che c’è tra gli esseri umani, cioè, quanto aiuto reciproco siamo disposti a darci. Mentre affermo tutto questo, sono in collera con me stesso perché non credo affatto a quanto asserisco.

La gente è aumenta. E’ tanta. Si crea una catena umana che separa “quelli da noi”. La ressa urla perché è superstiziosa e ha paura. Sono arrivati i soldati. Li ha mandati il sindaco della città. Devono chetare l’ostilità che sta diventando davvero pericolosa. Il prete è furibondo, incute panico. Tra i soldati c’è un ragazzo cresciuto nel convento tra noi e conosce le nostre intenzioni, ci protegge insieme agli altri soldati. E’ rimasto comunque un nostro fratello anche se ha preso un’altra strada, perché voleva crearsi una famiglia, si era innamorato. I soldati riescono a sedare la faida, ma il prete minaccia che non finirà qui, che ci denuncerà alle autorità e ci manderà al rogo. E’ solo questione di tempo secondo lui.

Domanda:
Hai detto che sei in collera con te stesso perché non credi a quanto asserisci. Perché? A cosa credi?

Risposta:
Tutti temono questo Dio. Pensano a un Dio punitivo che ci manda carestie, calamità naturali e distrugge perché non siamo come Lui ci vorrebbe. E noi come schiavi ci sottomettiamo al Suo volere e temiamo le Sue vendette cercando di essere buoni. Ci fa vivere nella paura e nel giudizio. Ci denunciamo l’uno all’altro pensando di essere migliori degli altri.

L’umanità mi sembra un gregge di pecore belanti: “beee, beee, beee.” Belano tutti dalla paura e io stesso belo tra loro, pecora tra le pecore. Del resto non so come uscirne. Intorno a questo gregge si aggira un branco di lupi che si ciba delle nostre paure e ci assoggetta a esso riducendoci a vivere come schiavi. Mi sono chiesto chi sono questi lupi? Che vogliono da noi? Come usano il potere per annientare l’umanità e ridurla in schiavitù? Mi sono accorto che anche tra di loro ci sono i lupi e le pecore …. Che ne sarà di noi? Io non voglio essere né lupo né pecora, non voglio seguire la loro fame che non riempirà mai i nostri stomaci. La mia fede vacilla ma non ho altre fedi. Vorrei fuggire ma non so dove. Vorrei credere in me stesso ma mi sento così piccolo, insulso, mentre la rovina ci sotterra, la miseria ci divora, la paura ci annienta. Faccio quello che posso, a volte ubbidisco a volte no. La sera nelle preghiere faccio la somma della giornata, qualcuno è morto e io sempre vivo. Mi chiedo perché? Che vuole da me questo Dio? Vorrei che mi lasciasse in pace. Perché ci dà queste prove? E’ questo il Suo amore? Che vuole da noi?

Domanda:
Torna indietro nel tempo a quando avevi circa otto anni. Cosa ricordi?

Risposta:
Ho circa otto anni e vivo in convento. Confine italo-francese tra 1500 e 1600, dal convento si vedono le montagne, parlo il dialetto. Sono cresciuto in questo convento. Anche qui nel convento ci sono buoni e meno buoni. Il superiore è buono, è come un padre per me. Si chiama Vincenzo e sono felice in sua compagnia. Padre Vincenzo è un frate anziano che mi riempie d’amore, mi tratta con garbo e gentilezza; mi istruisce, mi insegna tante cose e io mi sento amato. Penso che sia lui Dio e nessun altro. E’ lui l’Amore. E’ lui la Saggezza. Io sono devoto a lui e a nessun altro. Mi ha insegnato tante cose. Un brutto giorno ho appreso la notizia che Padre Vincenzo è morto e io sono devastato dal dolore. Uno ha detto che era così buono che il Signore lo voleva accanto a sé. Ho odiato quella persona e anche quel Dio che vuole tutto per sé. E’ questo l’amore? Anch’io voglio morire, che senso ha ora la mia vita senza di lui? Lo odio, lo odio, lo odio.

Domanda:
Sei adulto ora, come consideri l’amore?

Risposta:
Secondo me l’amore è quello che ho conosciuto attraverso Padre Vincenzo e manifestato dal cagnolino che cerca tra le macerie il suo padrone. Per me sono loro i miei maestri.
Non posso dire a nessuno questi pensieri perché sanno di eresia, bisogna che stia molto attento. La cattiveria degli uomini è immensa, fatta di paura, prevaricazione e soprattutto di superstizione. E’ questo l’inferno! Non c’è altro inferno al di fuori di questo. La morte è la liberazione ed il paradiso non so se esiste. Vorrei togliermi questi abiti che mi pesano. Vorrei anch’io far parte dell’esercito come il ragazzo cresciuto fra noi, invece di stare qui a pregare un Dio che non condivido. Il ragazzo conosce il suo padrone e sa a chi obbedisce. Ma io a chi obbedisco? Mi sento annientato. Mi nascondo dentro questo saio perché non so vivere in mezzo agli uomini. Conosco solo la vita di campo e di preghiere. Sono inaridito. Non ho fiducia nell’umanità. Ognuno pensa ai fatti propri. Anche io non ho il coraggio di fare quello che desidero e mi sottopongo a punizioni con lavori duri. Sono istruito ed educato ma dentro ho odio verso il Signore e devo contenere la rabbia in ogni momento. Mi strappo le vesti perché ODIO quel Dio. Eppure ce l’ho dentro quel Dio che si nutre come una bestia famelica della mia anima. Ho deciso di non nutrirlo più. Quel Dio assettato della mia rabbia deve morire di fame. Respiro l’aria pulita, passo ore nella solitudine e nella meditazione. Con queste pratiche lentamente il mio corpo si purifica e io non penso più a Lui, posso stare anche da solo e prego per conto mio. Tutto questo accade prima del terremoto. E poi arriva la catastrofe e io vedo tutta questa gente che pensa a loro Dio. Io ho perso la fede. Credo al corpo pulito. Ma penso: dove andrà la mia anima dopo la morte se non vorrà andare da quel Dio? Sarà dannata? Dove andrà?

Muoio all’età di 65 anni nel convento. Ho acquisito una sottile saggezza che mi permette di dire le cose senza espormi, non posso fare altro, non mi sento di fare altro. Muoio con una stretta al cuore mentre zappo l’orto. Sono contento di lasciare questo mondo e di cadere su questa terra profumata. E’ come se mi fossi preparato questo letto di terra che mi accoglie senza forze.

Posso finalmente gettare la maschera e non mi importa di sapere che ne sarà di me. Lascio il mio corpo e anche il mio saio che mi hanno protetto. In fondo sono stato tra i fortunati perché non ho conosciuto né la fame né la povertà ma ho conosciuto la miseria dell’anima.

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Eccoci! Questa regressione è stata trascritta fedelmente nel suo racconto e non nella sua elaborazione (quella è valida e utile solo per la signora stessa ma non per te che leggi, quindi non viene menzionato il benessere raggiunto alla fine della regressione). Per finire vorrei soltanto sottolineare alcuni aspetti:

  1. il passato ci condiziona senza che ce ne rendiamo conto;
  2. in uno stato di leggera alterazione di coscienza ci spogliamo dalle maschere e vediamo tutto molto chiaramente, non usiamo mezzi termini, smascheriamo le bugie, notiamo i propri limiti, non si può che essere veri;
  3. la vita ci ripresenta la stessa situazione per darci la possibilità di trovare una migliore soluzione di sopravvivenza (in questo caso sciogliere il disagio del passato);
  4. per evolvere un’intera società a livello etico e spirituale ci vuole molto molto molto tempo – vedi soltanto una sottilissima evoluzione in 400 anni – questo ci insegna di avere tantissima pazienza con se stessi, di procedere nella crescita personale con i guanti bianchi e di essere molto benevoli quando sbagliamo.

Dr. Katerina Kratka

 

 

Uno dei tanti motivi per fare la regressione

mangiare

Regredire ai ricordi passati è utile per liberarsi da paure e disagi, per intraprendere un percorso di crescita personale, evolutiva, spirituale, per conoscere le vite passate, per avere seduta dopo seduta, una visione più ampia della propria vita, per accedere alla propria bellezza interiore, per guardare la propria vita dalla prospettiva dell’io superiore, dare una risposta alle proprie domande, e tanto altro.
Vorrei portare la tua attenzione a un disagio che affligge moltissime persone e che affrontato in regressione porta a eccellenti risultati. Mi riferisco al disagio alimentare il quale presenta svariate sfaccettature: c’è chi mangia troppo, chi troppo poco, alcuni non sopportano certi cibi, altri sono voraci, ci sono i frustrati dalle tante diete fatte senza un risultato duraturo, ci sono gli intolleranti, e chi non resiste ai dolci, e cosi via.
Sai di che sto parlando ….
Per darti una idea di quanto la regressione possa esserti concretamente d’aiuto, riporto di seguito una seduta di una donna di 40 anni che ha deciso di risolvere il suo spiacevole disagio di cui si vergognava e che la faceva sentire in colpa: a casa, da sola, di nascosto si ingozzava di dolci fino a sentirsi male!

Terapeuta: Vai all’ultima volta che hai ingozzato il cibo.

Cliente: E’ una sera dopo le feste natalizie e la casa è ancora piena di dolci fatti in casa dalla mia mamma. Ho un impulso incontrollabile di doverli finire. Li devo mangiare tutti, uno dopo l’altro, velocemente. Non mi fermo finché non li finisco. Mi sento gonfia, piena, grassa e in colpa.

Terapeuta: Torna alla volta precedente in cui ti ingozzi di cibo.

Cliente: Ho circa 7 anni, sono a casa da sola, è mattina, mia madre mi ha lasciato la colazione pronta ed è uscita per andare a lavorare, davanti a me c’è una tazza di latte caldo, lo mando giù velocemente, ma lo stomaco mi fa subito male, sento un calore tremendo, non riesco a finirlo, nessuno mi vede … lo butto nel lavandino, ma mi sento terribilmente in colpa.

Terapeuta: Vai all’evento dove è la causa di tutto ciò.

Cliente: Sono piccolissima, in braccio a mamma, sento in bocca qualcosa che non conosco, mangio con la solita tranquillità ma un liquido strano mi arriva direttamente nello stomaco con una velocità soffocante, improvvisamente lo stomaco è pienissimo… sento fuoco dentro…non riesco a chiudere la bocca, tutto quello che è entrato ora… esce, rimetto tutto alla stessa velocità con cui è entrato. Il dolore allo stomaco rimane…sono frastornata…non capisco cosa sia successo. Oltre a mamma percepisco la presenza di papà e nonna, parlano di me e io sento la loro preoccupazione, mi sento in colpa…mi dispiace così tanto farli preoccupare per me. Ora sento in bocca qualcosa di diverso, è denso e va giù lentamente. Mi piace ma penso solo a mamma, le prometto che d’ora in poi mangerò tutto quello che mi darà.

Approfondimento della cliente: Ho sei settimane, a mamma viene a mancare il latte, capisco di avere in bocca il biberon con un buco cosi grande che il latte viene giù a una velocità quasi soffocante, lo stomaco si dilata troppo rapidamente, fa male immediatamente reagisco con un no a questa novità che mi fa male, e in più mi sento in colpa per aver dato una preoccupazione a mamma. Ora è tutto più chiaro: capisco perché mi sentivo in colpa se volevo buttare il latte caldo che non mi piaceva, capisco tutte quelle volte in cui svuotavo a forza il piatto preparato da mamma pur sentendomi strapiena, capisco quanto un senso di colpa e una promessa innocente possano condizionare una vita intera, capisco che la forza d’animo a 6 settimane o a 40 anni è identica.
Mi sento di poter dire di no alla mamma, di poter dire di no al cibo quando è troppo o che non mi piace, e potrei cominciare a dire di no, in generale, a tutto ciò non mi piace nella vita.
Mi sento molto leggera e serena, libera dal senso di colpa, libera di mangiare quello che mi serve e con calma.

Tutto questo viene elaborato in uno stato di piacevole rilassamento il quale permette di arricchirsi di nuovi programmi mentali e sentirsi meravigliosamente bene.

Autrice: Dr. Katerina Kratka