Il fuoco

L’origine della parola “fuoco” deriva dal latino ignis. Questo termine è presente nella lingua italiana nelle parole ignifugo, innato o iniziazione. Il termine greco pur, puros invece, lo troviamo ancora oggi nelle parole pirotecnico, piromane ecc.
Il fuoco sta per creazione, nascita, principio, luce originale, gioia, elemento divino o divinizzato dall’umanità. Ma il fuoco che tutto brucia, è anche distruzione. Questa ambivalenza fu presto percepita dai nostri antenati che di esso fecero rappresentazione e simbolo del bene e del male.
Tutte le culture antiche del mondo ci tramandano come la sopravvivenza dipendesse dalla stella di fuoco (il Sole) che ne era la causa e l’effetto. Gli antichi avevano però imparato anche a diffidare dello stesso fuoco quando, cadendo dal cielo in forma di lampi e fulmini, scatenava la sua furia con incendi devastanti. Quindi per fuoco si designa il fuoco in tutte le sue forme: focolare domestico, purificazione, iniziazione ecc. esso è dunque principio di vita, rivelazione, illuminazione, purificazione ma anche passione e distruzione. Il fuoco brilla in paradiso ma brucia all’inferno, dona vita ma la riprende per trasformarla poi in cenere.
In ogni religione troviamo divinità che si servono del fuoco per dare vita ma anche per fulminare quando la punizione doveva arrivare implacabile.
Mosè ricevette da Dio le Tavole della Legge davanti a un roveto di fuoco che Dio stesso, servendosi di un dito di fuoco scolpì, dopo averle lette per dieci volte.
Nella mitologia greca Zeus, padre di tutti gli dei, puniva l’umanità servendosi di fulmini forgiati da suo figlio Efesto dio del fuoco. Lo sa bene Prometeo, figlio di un Titano, che subì suo malgrado la punizione di Zeus per aver avuto l’ardire di rubare dall’Olimpo una scintilla di fuoco e donarla agli uomini per rendere loro più gradevole la vita.
Zeus lo punì legandolo con catene forgiate da Efesto, sul fianco di una montagna del Caucaso. Qui, Il padre di tutti gli dei, lo condannò non solo alla prigionia ma al supplizio eterno dato da un’aquila che di giorno gli divorava il fegato che durante la notte si riproduceva.
Fu grazie all’intervento di Ercole che Prometeo trovò la libertà. Un giorno l’eroe vide l’aquila straziare il fegato del titano incatenato e, con il permesso di suo padre Zeus, abbatté il rapace e spezzò le catene. Zeus, dall’alto dell’Olimpo volse uno sguardo di benevolenza verso il gigante restituendogli così la libertà. Prometeo però, espresse il desiderio di rimanere per sempre su quel monte in modo di essere ricordato per sempre dagli uomini come loro salvatore per aver donato all’umanità il fuoco. Prometeo quindi, fu trasformato per suo volere in una maestosa montagna della catena del Caucaso.
Nel mito di Prometeo ritroviamo due simboli legati al fuoco: l’aquila, uccello solare detto anche uccello del tuono, messaggero degli dei che trasportava il fuoco del cielo inviato da Zeus; il fegato, considerato nell’antichità la sede dell’anima dove questa riceveva lo spirito (scintilla divina che dà la vita) e che sempre si rigenera. In ebraico, il termine fegato caved, significa sia pesantezza, gravità, sia ricchezza e potenza, intesa nel senso di potenza divina.
Vesta, divinità dell’antica Roma, era la dea del fuoco e del focolare domestico. Le vestali invece, erano le custodi del tempio a lei dedicato. Il culto di Vesta (Estia per i greci) sembra che sia stato introdotto in Italia da Enea, eroe troiano antenato di Giulio Cesare. Le vestali facevano solenne voto di castità giurando di non lasciare mai senza fuoco il sacro focolare, che era il simbolo della potenza romana. Una vestale colpevole dell’estinzione del fuoco sacro veniva frustata dal Pontifex Maximus perché questo atto era considerato imperdonabile e portatore di sventura.
Sotto l’inquisizione, ai presunti colpevoli di eresia, veniva inflitta la prova del fuoco che consisteva nel portare in mano un ceppo incandescente. Coloro che riportavano piaghe alle mani venivano condannati al rogo per essere in questo modo purificati dal demonio.
La notte del 24 giugno è rimasta come tradizione popolare la notte delle streghe. In questa notte, si accendono falò per scacciare satana e si mette in ogni accesso alla casa del sale grosso che serve per distrarre le streghe che vogliono entrare. Poiché le streghe risultano creature molto curiose, esse non potranno esimersi dal contare i chicchi di sale. Le satanasse, saranno così impegnate nella conta da non accorgersi del sorgere del sole che, al suo apparire, scapperanno via. È grazie a questo stratagemma che ci si può salvare dal loro incanto.
I fuochi erano in origine dei fuochi di fertilizzazione e di purificazione che venivano accesi durante il solstizio d’estate (21 giugno), proprio poco prima del raccolto, per onorare gli dei e ringraziarli dei loro favori subito dopo la purificazione della terra.
Infatti, il periodo fra il 19 e il 25 giugno, era considerato nelle tradizioni precristiane un tempo sacro, ancora oggi celebrato dalla religiosità popolare con la festa che cade il 24 giugno quando si ricorda la Natività di San Giovanni Battista. I fuochi di San Giovanni si accendevano per simbolizzare il sole solstiziale. Essi avevano il potere di scacciare demoni e streghe e prevenire le malattie.

Sognare di bruciarsi. 

Marco scrive:
da tempo ho un sogno ricorrente: sogno di avvicinarmi ad una ragazza della quale ho preso una cotta. Nel momento in cui la sto per abbracciare però, mi scotto le mani e lei svanisce immediatamente.

Risposta:
Sicuramente le sue paure sono quelle di dichiararsi ma ancora di più quella di potersi appassionare in una storia che potrebbe finire male. La vita è fatta anche di questo. Provi a mettersi in gioco senza avare aspettative.
La Smorfia associa il numero 12 al bruciarsi le mani. Muzio Scevola lo fece perché aveva fallito un obiettivo ma chissà forse questa volta il 12 porterà più fortuna.

Sognare di avere la casa che va in fiamme.

Anna Lisa scrive:
Mi sto per separare dopo vari tentativi e ripensamenti. Questa volta però è la decisione definitiva perché anche mio marito è d’accordo. I nostri due figli sono l’unico ostacolo ad una serena separazione. Notti fa, ho sognato di vedere la mia casa andare a fuoco. Nella disperazione mi buttavo tra le fiamme in cerca di salvare qualcosa che non trovavo perché vedevo solo fumo. Questo sogno mi ha lasciata molto spaventata.

Risposta:
Vedere la propria casa andare a fuoco probabilmente si riferisce al progetto familiare che sta andando in fumo. Il tentativo di salvare qualcosa potrebbe riferirsi ai suoi figli nell’evitare loro più sofferenze possibili.
I numeri associati a questo sogno secondo la Smorfia sono 64 e 85.

Sognare di scaldarmi vicino al fuoco. 

Lucia scrive:
Ho sognato di essere a casa di amici e stavamo festeggiando qualcosa. Io ero di fronte al camino e mi scaldavo davanti a un fuoco scoppiettante. Era una bella sensazione.

Risposta:
Un fuoco scoppiettante presagisce una passione felice e spirituale. Sognare poi di trovarsi tra amici a festeggiare significa salute e felicità in un ambiente confortevole e in un clima di festa. Auguri quindi, il bisogno di amore verrà appagato.
Secondo la smorfia i numeri 20 e 31 sono associati a scaldarsi di fronte al fuoco.

autrice: Manuela Mariani

La Camelia

Pur essendo un bellissimo fiore, la camelia è priva di profumo. Secondo la leggenda, un giorno il dio Efesto, sorprese la moglie Afrodite in un rapporto amoroso con Ares. Pieno di sdegno, invitò tutti gli dei dell’Olimpo ad essere testimoni di tale tradimento. Continua a leggere

Il mito di Efesto

Il dio zoppo

Nella mitologia greca, molte divinità ci parlano del significato dei piedi che a livello simbolico rappresentano la nostra anima.
A tal proposito vorrei parlare di Efesto, un dio rifiutato dalla madre.
Efesto, noto ai romani come Vulcano, era il dio storpio del fuoco. Sembra che fu proprio Era, (per i romani Giunone) sua madre a precipitarlo giù dall’Olimpo perché non conforme alle sue aspettative.
Rifiutato e scaraventato giù dal famoso monte, non era apprezzato nell’arrogante regno di Zeus (Giove, per i romani), dove quello che contava era il potere e le apparenze.
Il più sfortunato e probabilmente il più infelice degli dei, era deforme, non conosceva con sicurezza le proprie origini, non era accettato ed era sfortunato in amore. Ma era un genio creativo e l’unico dio che lavorava.
Per quanto riguarda le sue origini, secondo la versione più nota, fu un’Era indispettita a dare i natali a Efesto per partenogenesi, come vendetta nei confronti di Zeus che aveva partorito Atena dalla testa.
Mentre Atena però, era perfettamente formata, Efesto nacque con un piede storpio.
Questo difetto umiliò Era, la quale vedendolo, rifiutò il figlio appena nato e lo scaraventò giù dall’Olimpo.
Efesto fu rifiutato anche dal padre Zeus, che regnava sul monte incontestato da tutti gli dei. L’Olimpo gli fu sempre ostile anche quando divenne adulto, tanto che quando vi si recava, era trattato da buffone e ridicolizzato. Nel suo elemento però, il lavoro nella fucina, il maestro artigiano Efesto usava il fuoco e gli strumenti del mestiere (acqua, terra, aria), per trasformare la materia grezza in oggetti di grande bellezza.
Questo lavoro alchemico, nasce dal fatto che Efesto, dopo essere stato scacciato, cadde sulla terra per essere adottato da due dee terrestri che gli diedero la possibilità di redimere se stesso. Darsi questa possibilità, simbolicamente, è un’espressione del creatore ferito e lascia queste tracce di dolore nel piede, primo elemento organico che ha contatto diretto con la Madre Terra.
L’archetipo Efesto, trasmette un profondo istinto a lavorare e a creare dalla “fucina dell’anima” attuando un processo alchemico di trasformazione liberando la bellezza e l’espressività.
Efesto, come ho già detto, era l’unico dio dell’Olimpo che aveva subito un danno fisico alla nascita, l’unica delle divinità più importanti ad essere portatrice di un’imperfezione. Egli fu escluso dall’Olimpo perché era nato con un piede storpio, il che offendeva sua madre Era e suo padre adottivo Zeus.
La deformità fisica di Efesto non può essere separata dalla ferita emotiva provocata in lui dai genitori. Come conseguenza della sua menomazione fisica e del rifiuto subito, egli divenne il dio della fucina, l’architetto dell’istinto a lavorare come modo per crescere e per guarire dalle ferite emotive.
Efesto fu respinto appena nato, quando sua madre Era, priva com’era di senso materno, vide il suo aspetto deludente e se ne liberò: un destino condiviso, a livello metaforico, da molti altri bambini che sono rifiutati emotivamente ma anche materialmente e quindi abbandonati, peggio ancora, gettati nella spazzatura, come purtroppo spesso accade.
I bambini che non sono tenuti in braccio e toccati, hanno difficoltà nella crescita e per mancanza di contatto fisico il neonato può anche morire.
Anche se il bambino rifiutato sopravvive, ciò nondimeno il danno psicologico gli provoca un danno emotivo.
Vorrei concludere con un commento di James Hillman, scrittore junghiano: I nostri genitori sono coloro che ci hanno ferito. Ognuno di noi porta una ferita genitoriale e ha un genitore ferito. L’immagine mitica del ferimento o del genitore ferito diventa l’affermazione psicologica che “il genitore è la ferita”.
Efesto in questo lavoro di trasformazione, ci insegna a utilizzare in maniera vantaggiosa le nostre ferite facendole diventare padre e madri del nostro destino.
Tratto dal libro “Dalle radici al cielo – costellazioni familiari nel mito e nell’arte con la riflessologia plantare” di Manuela Mariani – Ed. Argo Editore

autrice: Manuela Mariani