Il mito di Efesto

Il dio zoppo

Nella mitologia greca, molte divinità ci parlano del significato dei piedi che a livello simbolico rappresentano la nostra anima.
A tal proposito vorrei parlare di Efesto, un dio rifiutato dalla madre.
Efesto, noto ai romani come Vulcano, era il dio storpio del fuoco. Sembra che fu proprio Era, (per i romani Giunone) sua madre a precipitarlo giù dall’Olimpo perché non conforme alle sue aspettative.
Rifiutato e scaraventato giù dal famoso monte, non era apprezzato nell’arrogante regno di Zeus (Giove, per i romani), dove quello che contava era il potere e le apparenze.
Il più sfortunato e probabilmente il più infelice degli dei, era deforme, non conosceva con sicurezza le proprie origini, non era accettato ed era sfortunato in amore. Ma era un genio creativo e l’unico dio che lavorava.
Per quanto riguarda le sue origini, secondo la versione più nota, fu un’Era indispettita a dare i natali a Efesto per partenogenesi, come vendetta nei confronti di Zeus che aveva partorito Atena dalla testa.
Mentre Atena però, era perfettamente formata, Efesto nacque con un piede storpio.
Questo difetto umiliò Era, la quale vedendolo, rifiutò il figlio appena nato e lo scaraventò giù dall’Olimpo.
Efesto fu rifiutato anche dal padre Zeus, che regnava sul monte incontestato da tutti gli dei. L’Olimpo gli fu sempre ostile anche quando divenne adulto, tanto che quando vi si recava, era trattato da buffone e ridicolizzato. Nel suo elemento però, il lavoro nella fucina, il maestro artigiano Efesto usava il fuoco e gli strumenti del mestiere (acqua, terra, aria), per trasformare la materia grezza in oggetti di grande bellezza.
Questo lavoro alchemico, nasce dal fatto che Efesto, dopo essere stato scacciato, cadde sulla terra per essere adottato da due dee terrestri che gli diedero la possibilità di redimere se stesso. Darsi questa possibilità, simbolicamente, è un’espressione del creatore ferito e lascia queste tracce di dolore nel piede, primo elemento organico che ha contatto diretto con la Madre Terra.
L’archetipo Efesto, trasmette un profondo istinto a lavorare e a creare dalla “fucina dell’anima” attuando un processo alchemico di trasformazione liberando la bellezza e l’espressività.
Efesto, come ho già detto, era l’unico dio dell’Olimpo che aveva subito un danno fisico alla nascita, l’unica delle divinità più importanti ad essere portatrice di un’imperfezione. Egli fu escluso dall’Olimpo perché era nato con un piede storpio, il che offendeva sua madre Era e suo padre adottivo Zeus.
La deformità fisica di Efesto non può essere separata dalla ferita emotiva provocata in lui dai genitori. Come conseguenza della sua menomazione fisica e del rifiuto subito, egli divenne il dio della fucina, l’architetto dell’istinto a lavorare come modo per crescere e per guarire dalle ferite emotive.
Efesto fu respinto appena nato, quando sua madre Era, priva com’era di senso materno, vide il suo aspetto deludente e se ne liberò: un destino condiviso, a livello metaforico, da molti altri bambini che sono rifiutati emotivamente ma anche materialmente e quindi abbandonati, peggio ancora, gettati nella spazzatura, come purtroppo spesso accade.
I bambini che non sono tenuti in braccio e toccati, hanno difficoltà nella crescita e per mancanza di contatto fisico il neonato può anche morire.
Anche se il bambino rifiutato sopravvive, ciò nondimeno il danno psicologico gli provoca un danno emotivo.
Vorrei concludere con un commento di James Hillman, scrittore junghiano: I nostri genitori sono coloro che ci hanno ferito. Ognuno di noi porta una ferita genitoriale e ha un genitore ferito. L’immagine mitica del ferimento o del genitore ferito diventa l’affermazione psicologica che “il genitore è la ferita”.
Efesto in questo lavoro di trasformazione, ci insegna a utilizzare in maniera vantaggiosa le nostre ferite facendole diventare padre e madri del nostro destino.
Tratto dal libro “Dalle radici al cielo – costellazioni familiari nel mito e nell’arte con la riflessologia plantare” di Manuela Mariani – Ed. Argo Editore

autrice: Manuela Mariani